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Il britannico, n.719 del mondo proveniente dal circuito collegiale americano, non gioca sul circuito pro e per tanto non potrà ricevere l'intero montepremi lui garantito. E' una regola, ma suona come un cavillo
di Ronald Giammò | 01 luglio 2025
Per i top player, anche quelli incappati in una stagione poco brillante, giocare una finale Slam per non dire riuscire a vincerla, è un risultato in grado di dar senso e ribaltare qualsiasi considerazione sul loro rendimento nell'arco delle 52 canoniche settimane. Per tutti gli altri, le legioni di giocatori che galleggiano nel ranking più basso e che a uno Slam devono approdare passando dal purgatorio delle qualificazioni, anche superare un turno è un traguardo da festeggiare a braccia alzate. Questione di prestigio, certo. Ma anche di soldi. Soprattutto di soldi.
I prize money degli Slam infatti sono i più ricchi del circuito e garantiscono montepremi fin dai primi turni più remunerativi degli altri eventi presenti in calendario. E per chi deve saper fare di conto sobbarcandosi spese per team, trasferte, alberghi e quant'altro, rappresentano una non indifferente boccata d'ossigeno con cui poter pensare di programmare una successiva stagione sul circuito. Non sarà così però per Oliver Tarvet, britannico n.719 del mondo, qualificatosi per il main draw di Wimbledon battendo un record che all'AELTC durava da più di quarant'anni.
L'approdo nel tabellone principale ha infatti garantito lui un prize money pari a 66.000£. La vittoria colta all'esordio contro lo svizzero Leandro Riedi ha incrementato il suo montepremi portandolo a 99.000£, somma che verrà lui garantita a prescindere dal risultato che otterrà nel suo match di secondo turno contro Carlos Alcaraz. Una somma che Tarvet però non potrà percepire interamente, e che frutterà alle sue casse solo 7.300£ pari a 10.000$.
Il motivo è presto detto ed è da ricercare in un comma del regolamento che pare assomigliare più a una punizione che a un cavillo. I giocatori che decidono infatti di non competere sui circuiti professionistici afferenti all'ATP, quando decisi a prendervi parte non possono incassare un montepremi superiore ai 10.000$ all'anno. Tarvet, che durante la stagione compete nel circuito collegiale americano - frequenta infatti l'Università di San Diego - resterà quindi se non completamente a bocca asciutta con le tasche molto più leggere rispetto agli altri suoi colleghi.
"E' un po' imbarazzante - ha detto lui a chi glielo ha fatto notare a caldo dopo il successo ottenuto - Devo far fronte a molte spese e ci tengo a tornare a San Diego per completare il mio quarto anno di studi. Diciamo che con questi 10.000$ potrei tornare a casa con il mio coach su un jet privato".
Un caso analogo, e ben più impattante in termini economici, si era verificato l'anno scorso durante gli US Open quando Maya Joint da qualificata riuscì a spingersi sino al secondo turno, piazzamento che le avrebbe garantito un montepremi di 200.000$ a cui dovette rinunciare in quanto anche lei iscritta all'Università del Texas. Anche nel suo caso, le regole NCAA le consentirono di assicurarsi solo 10.000$ per coprire le spese necessarie. "Sono contenta di aver scelto di andare al college", dichiarò lei allora non mostrando alcun rimpianto per la somma che andava volatilizzandosi davanti ai suoi occhi. Più caustico fu invece Andy Roddick, ultimo statunitense a vincere gli US Open di casa nel 2003, che dai suoi social media definì "assurda" la norma, chiedendosi "come sia possibile che un atleta del college possa accettare soldi da un concessionario d'auto locale (questioni di sponsorizzazioni e immagine, ndr) ma non possa incassare il montepremi degli US Open". Difficile dargli torto. Joint si poi rifatta quest'anno vincendo nelle ultime settimane ben due eventi tra Rabat e Eastbourne. Un precedente cui Tarvet può ora guardare con ottimismo.